Lezioni americane: un'opera di Italo Calvino
Il mio disagio è per la perdita
di forma che constato nella vita.
(Lezioni americane, Italo
Calvino)
La letteratura intesa come arte del conoscere è un motore che regola gli ingranaggi dell’universo invisibile, quei meccanismi che rendono cristallina la velata filigrana del reale. È proprio con uno sguardo in movimento sul mondo che Calvino, nel suo piccolo volume di Lezioni americane, riesce a rendere concrete e leggibili le concatenazioni chiaroscurali del vivibile: particelle che, manifestatesi, restituiscono “forma” all’opacità dell’esistenza.
Cosa significa perdere forma?
Le Lezioni americane appaiono come un insieme di riflessioni e consigli, ideato per una serie di conferenze che Calvino avrebbe dovuto tenere presso l’Università di Harvard. La prima edizione dell’opera uscì, postuma, nel 1988. La morte improvvisa colse l’autore, che non poté completare le lezioni; manca la sesta (coerenza). Il titolo recita: Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Proposte pensate e indicazioni, che diventano direzioni, spingono l’autore a offrire al lettore un excursus letterario per districarsi nel labirinto di una nuova era. Contornate da riferimenti scientifici, filosofici e classici, le lezioni assurgono da contenitori dell’identità esistenziale nel tentativo di esplorare, attraverso l’interiorità, l’esperienza della realtà. Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità sono i principali valori letterari da conservare come una guida per orientarsi nel “mare dell’oggettività”.
Perché la
letteratura può essere il faro che illumina la strada?
La letteratura ci consente di riorganizzare innumerevoli volte la nostra cognizione del mondo; la letteratura è immaginazione, consapevolezza, opportunità; la letteratura è l’involucro che ridà consistenza e quindi forma all’astrattezza del vivere. Se il mondo volge verso la pesantezza, la letteratura offre la via della leggerezza: la leggerezza è una sottrazione di peso, la levità e la sospensione della parola dinanzi ai contorni oscuri del linguaggio. Se lo scorrere del nuovo secolo impone la velocità del progresso e degli uomini, la letteratura costringe a un confronto tra la velocità fisica e la velocità mentale; tra il pulviscolo della materia e la sveltezza del ragionamento. Sveltezza è rapidità di pensiero e un pensiero agile è un pensiero disinvolto: la capacità di perdersi e ritrovarsi nella fitta rete del proprio essere, cui solo la letteratura può fornire la traiettoria. Una traiettoria che si trasforma in una linea retta, protesa all’infinito, in cui trovano spazio armonia e simmetria, perché affrettarsi non vuol dire correre ma muoversi meticolosi nel turbinio di possibilità. Se l’uso della parole è influenzato dall’omogeneizzazione culturale, anche le immagini sono prive di quella ricchezza di significato che dovrebbe concedere forma ed esattezza non solo al linguaggio, ma anche alla vita. L’idea di una letteratura come funzione esistenziale ha, però, il potere di generare l’esattezza di una propulsione tra lo spazio razionale dove si intrecciano punti, fili e proiezioni e lo spazio irrazionale in cui è possibile dar voce alla totalità del dicibile e del non dicibile; in cui è possibile frammentarsi e ricomporsi; conoscersi e riconoscersi.
Tu sei proteso verso il razionale o l’irrazionale?
Diceva Calvino: “la fantasia è un posto dove ci piove dentro”. La fantasia è il luogo dell’immaginazione, un luogo che ci strappa dalla realtà per condurci in uno scrigno di mescolanza tra esteriorità e interiorità, materia e anima. È uno scrigno che ciascuno di noi può mettere a fuoco con la visibilità: la percezione di una storia, quella umana, che può essere ogni volta sempre diversa e sempre uguale. Facendo un passo indietro, allora, la letteratura è anche l’opportunità di dire tutto in tutti i modi possibili, in una molteplicità delle storie possibili. Ogni storia, la nostra personale storia, ha un inizio e una fine. Se le storie possibili sono molteplici, esiste davvero una fine?
A presto,
Libera
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